Nei giorni scorsi abbiamo ospitato una nota nella quale l’avvocata Manola Di Pasquale, responsabile regionale giustizia del PD, esprime le sue perplessità sulla riforma che prevede la separazione delle carriere tra inquirenti e giudicanti. Paventando il pericolo – si legge nel comunicato pubblicato in calce – che la magistratura inquirente possa essere sottomessa alla Politica. Tuttavia la necessità della separazione delle due funzioni, concetto apparentemente di ovvia deduzione, è stata spiegata con semplicità, alla portata di tutti, nel corso di un convegno della fondazione Einaudi con queste parole: ” Immaginate – il commento di Giuseppe Benedetto, avvocato, presidente nazionale della Fondazione – che nel giocare la partita di calcio della vostra vita, l’arbitro sia un tesserato della squadra avversaria, qualche dubbio sul possibile risultato è lecito che venga”. Un esempio spicciolo ma concreto.

L’argomento è tornato alla ribalta negli ultimi giorni per via dello sciopero nazionale avverso la riforma e in particolare proprio contro la separazione delle carriere. Uno sciopero, secondo i dati forniti dalla categoria, al quale hanno aderito l’ottanta percento dei magistrati. Tra i venti che invece sono rimasti in tribunale a studiare le carte, c’era Gennaro Varone, pubblico ministero dal 2024 a Pescara, per il quale “non è giusto far pagare chi è in attesa di giustizia per una contrarietà a un elaborato parlamentare“. Varone ha una lunga carriera alle spalle. Ha svolto indagini rilevanti, come quelle che hanno coinvolto l’ex socio di Giuseppe Conte, Luca Di Donna, e la rivelazione del segreto di Andrea Delmastro.

Il magistrato, candidato non eletto con Articolo 101 (*) all’ultima tornata elettorale dell’ANM, ha sempre sostenuto l’idea di una magistratura libera dal correntismo. Lo ha ribadito recentemente anche in un’intervista esclusiva rilasciata a Ilaria Sacchettoni del Corriere della Sera, della quale riportiamo uno stralcio. Il magistrato ha commentato le recenti proposte di riforma, sottolineando la necessità di porre fine alle correnti in magistratura definendole “la vera malattia da debellare” ed esprimendo apprezzamento su questo punto per l’intento dell’esecutivo.

Varone, inoltre, ha dichiarato chiaramente che non esiste una minaccia all’indipendenza della magistratura requirente. «È sufficiente leggere l’articolo 104 della Costituzione nella nuova formulazione – dice – per capire che la nostra indipendenza è espressamente riconosciuta». Il magistrato ha ribadito il concetto che, mentre è fondamentale per i magistrati mantenere la propria indipendenza dalla politica, è altrettanto essenziale riconoscere alla politica il suo ruolo istituzionale all’interno del sistema: “Ogni riforma deve essere ponderata con equilibrio, per garantire che la giustizia funzioni in modo equo per tutti“.

Varone ha inoltre espresso il suo favore per l’introduzione del principio di un giusto processo, con particolare riferimento alla parità di condizioni tra accusa e difesa. «Mi convince il fatto che venga legittimamente posto il tema del giusto processo da svolgersi in condizioni di parità tra accusa e difesa, davanti a un giudice terzo – ha affermato – Si tratta di dare attuazione all’articolo 111 della Costituzione». Il pubblico ministero ha sottolineato l’importanza di rendere il processo giuridico più trasparente, in modo da evitare disparità e garantire la tutela dei diritti di tutti gli attori coinvolti.

Altro tema discusso nel corso dell’intervista al Corsera è stata la proposta di riforma del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), che prevede la designazione dei suoi membri attraverso sorteggio. Varone si è detto favorevole: «Mi pare – ha commentato – che il sorteggio eliminerebbe i giochi di corrente sulle nomine dirigenziali, troppo spesso decise, come si sa, per appartenenza e non per merito». La proposta, nelle intenzioni del legislatore, mira a garantire che le nomine siano fatte esclusivamente sulla base della competenza, senza influenze politiche o di fazioni interne alla magistratura.

(*)Articolo 101 della Costituzione: “La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge“.

Enrico Squartini


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